IL LAVORO POSSIBILE
Atti del Convegno Nazionale - Siena - 7/8 Maggio 1998

Regione Toscana - Provincia di Siena (Servizio Orientamento Professionale)

 

Filippo Strati

Studio Ricerche Sociali

NUOVI ORIENTAMENTI PER IL NETWORKING DEI SERVIZI PER L’IMPIEGO

 

Ringrazio le signore ed i signori presenti a questo convegno e mi auguro che il mio intervento non faccia calare il loro livello di attenzione e la loro attiva partecipazione.

Ringrazio coloro che hanno organizzato queste giornate di lavoro e spero di non deludere le loro aspettative nell'avermi invitato.

Concentrerò la mia comunicazione su due aspetti convergenti: i servizi per l'impiego; il networking necessario a renderli efficaci.

Esaminerò in particolare argomenti relativi ai servizi per l'impiego:

  1. a cosa servono
  2. in cosa consistono attualmente
  3. chi sono i loro interlocutori (stakeholders)

E quindi affronterò i seguenti aspetti:

  1. cosa significa rete integrata
  2. quali effetti deve produrre la rete integrata
  3. su quali comportamenti deve agire la rete
  4. quali sono le condizioni base che rendono sostenibile una rete
  5. quali comportamenti organizzativi devono essere quotidianamente alimentati in una rete

Prima di cominciare, mi permetto di ricordare che i nuovi orientamenti per networking dei servizi per l'impiego nascono da una ricca serie di buone pratiche, esperienze e cambiamenti organizzativi ed istituzionali.

Grande scenario di cambiamento, come sappiamo, è quello che avviene dopo 130 anni di Stato italiano e si basa sull'applicazione degli attuali principi guida del concetto di sussidiarietà. Su questo aspetto, la Regione Toscana con la legge 77/1995 ha anticipato il legislatore nazionale (L. 59/1997). Unendo il quadro regionale e quello nazionale, ora abbiamo un elemento di forza consistente. Dipende solo da noi come attueremo il cambiamento. Oggi abbiamo i principi sui quali orientare la nostra creatività e la nostra innovazione istituzionale, organizzativa e socio-culturale.

Un altro grande scenario di cambiamento è quello internazionale. Infatti, sugli argomenti specifici di questo convegno, ossia sul rapporto tra decentramento dei poteri e servizi per l'impiego, si sta discutendo in tutto il mondo. Molti paesi sperimentano pratiche innovative e, tramite il loro scambio, si individuano comuni problematiche, direzioni e tendenza. La più recente occasione è costituita dal seminario OCSE tenuto a Venezia il 23 e 24 Aprile scorso (Decentralisation of the Public Employment Service and Local Management), dal quale sono emerse alcune indicazioni che mi permetto di considerare come base di riferimento (teorico e pratico) a quanto dirò ora.

Non si tratta quindi di un argomento nuovo, ma oggi abbiamo a disposizione una strumentazione teorica e pratica di alto profilo, usando la quale, potremo realizzare qualcosa di veramente significativo per le attuali e le future generazioni.

Per chi si occupa della materia chiamata "politica del lavoro" è chiaro che la discussione sui servizi dell’impiego è veramente storica. E, pur con differenti gradi di conoscenza e disponibilità di risorse metodologiche, tecniche e tecnologiche, si è sempre parlato di integrazione, collaborazione e coerenza di servizi finalizzati a politiche attive del lavoro.

  1. A cosa servono i servizi per l’impiego

I servizi per l’impiego non sono solo intermediazione tra "la fabbrica" ed "il lavoratore", tra le loro rispettive e particolari esigenze. Questo era un vecchio approccio, nei tempi in cui si faceva riferimento alle politiche del lavoro di natura tipicamente industrialista. Con l'evolvere dei concetti di sviluppo, anche i servizi per l’impiego hanno dovuto cambiare natura e pelle. Oggi acquistano un ruolo determinante se rispondono alle cosiddette politiche attive del lavoro ed, in particolare:

Poco più di dieci anni fa (1982 - 1984), è emerso a livello europeo ed internazionale, l'approccio a favore delle iniziative locali per lo sviluppo e l'occupazione (ILO). Le ILO evidenziano il ruolo degli attori locali i quali concepiscono ed implementano corsi di azione innovativi, basati sull'uso sinergico delle risorse endogene al fine di sviluppare l'occupazione tramite la diffusione di una nuova cultura imprenditoriale volta al contesto sociale ed ambientale. Le ILO:

Le ILO sono l’elemento trainante dei servizi per l’impiego e ne impongono la territorializzazione.

Più recentemente è apparso il concetto di employability (occupabilità) a significare una principale, forse la più importante, finalità dei servizi per l'impiego.

Infatti, mentre la singola e specifica occupazione può assumere un carattere congiunturale, l’employability riveste l’aspetto tendenziale e duraturo dell’individuo.

L'employability è la capacità di determinare, intraprendere e gestire un percorso costituito dalla combinazione di varie occasioni, ruoli e tipologie di occupazione.

I servizi per l'impiego, per essere finalizzati all'employability, devono porre attenzione estrema alla persona, in quanto essa è il centro motore di iniziative tese a cogliere varie opportunità, strutturando meglio l’uso primario delle proprie forze. Quindi stiamo parlando di employability come sviluppo del capitale umano locale, agendo su

  1. In cosa attualmente consistono i servizi per l'impiego

In altri termini, per alimentare lo sviluppo locale occorre un capitale umano attrezzato. Ed i servizi per l'impiego devono utilizzare tutta la cassetta degli attrezzi di cui dispongono:

Occorre notare come l'orientamento sia, in realtà, lo strumento più trasversale di tutti. Esso consente di cucire abiti personalizzati, stimola ambienti organizzativi e contesti socio-culturali al fine di far accrescere l’autonomia e la responsabilità dei soggetti (sin dalle loro esperienze scolastiche, universitarie, dal rapporto con le famiglie, etc.), ipotizzando e sperimentando azioni diverse di formazione, cultura, professione ed occupazione.

L'orientamento, nel finalizzarsi all'individuo, si rivolge alla comunità locale per aprire opzioni, alimentare un continuo scambio di conoscenza, discutere su valori e comportamenti di riferimento, stimolare nuovi orientamenti di sviluppo locale.

I servizi per l'impiego possono adottare modalità varie di erogazione ed utilizzazione della suddetta cassetta degli attrezzi, in rapporto al contesto locale, alle singole persone ed alle fasce sociali di riferimento: self service; one-stop-shop (sportelli unici); maison de l'emploi, etc.

Ma nell'agire quotidiano, i servizi per l'impiego devono combinare molteplici approcci ed ingredienti, integrando varie attività; da qui l’esigenza di mettersi in rete per migliorare il modo in cui il cliente usufruisce di questi servizi.

La centralità del cliente è fondamentale, visto che i servizi devono essere personalizzati. Si tratta, anche nel caso dei servizi per l'impiego, di introdurre e praticare il prosumerismo e la prosumerizzazione. Il primo si riferisce alla combinazione del produttore e del consumatore nel processo di progettazione, erogazione ed usufruizione del servizio; il secondo esprime come questo principio viene realmente praticato. E' su questo piano che si può misurare la capacità dei servizi per l'impiego di gestire ed anticipare il cambiamento e di produrre qualità.

In parole semplici, il servizio per l’impiego non interviene sul soggetto - cliente per determinargli il percorso professionale, oppure quello occupazionale, culturale, di studio, etc. Deve invece avvenire esattamente l’inverso: è il cliente che interviene sul percorso dei servizi per l’impiego perché producano dei servizi adeguati alla qualità che lui cerca, stimolino le sue qualità soggettive, la sua voglia di partecipare, etc.

Chi opera nell’orientamento sa benissimo che l’orientamento costituisce un insieme di attività interconnesse che agiscono (o dovrebbero agire) in entrata, in uscita, trasversalmente, orizzontalmente, dall'alto e dal basso; cioè dappertutto nel ciclo di vita professionale, lavorativa e socio-culturale di una persona. L'orientamento permea tutto il percorso, perché serve all’empowerment, inteso come crescita delle possibilità e delle capacità individuali e sociali tese a gestire e sviluppare la propria vita con innovazione e creatività e cioè cambiando. Qui si trova la stretta alleanza tra employability ed empowerment, dato che l'una può crescere nella misura in cui cresce anche l'altro. Occorre dare al cliente la possibilità di crescere, e questa possibilità non avviene bloccandolo in percorsi fissi, pianificati, delimitati o, magari, decidendo aprioristicamente chi è "degno" di essere "empowerato" e chi no. Questo secondo modo di agire è frutto di vecchi meccanismi mentali, per fortuna ormai caduti nel tempo.

Vi ricordate quando negli anni ’70 si diceva che una delle professioni del futuro era quella dei perforatori? Si era ancora all'età della pietra rispetto al cambiamento che qualche anno dopo avrebbe travolto tutto il nostro modo di lavorare. Il perforatore era il servitore della macchina di elaborazione dati; essa sarebbe stata rapidamente travolta dall'era del computer. Ma nessuno poteva immaginarlo. Si pensava che il livello tecnologico fosse già consistente e che il perforatore rappresentasse una figura professionale abbastanza evoluta rispetto al dattilografo. La professione dei perforatori è morta nel corso di pochi anni, nonostante che le previsioni degli esperti in fabbisogni formativi, econometria e statistiche del lavoro avessero dato tutt'altro "orientamento", definendola come la professione del futuro.

Stiamo quindi molto attenti. Io ho molta paura di me stesso, quando vesto i panni di orientatore, (oppure di consulente, di ricercatore, teorico, etc.).

Stiamo attenti a dare certezze e sicurezze, non possiamo (e non è onesto dal punto di vista intellettuale, etico, oltre che professionale) affidarci alla nostra capacità come esperti del settore, o alla capacità di altri esperti.

Dobbiamo affidarci alla nostra saggezza ed a quella degli altri. Infatti, le cose cambiano, per fortuna, ed il cambiamento, per essere tale, non può essere razionalizzato e schematizzato in logiche precodificate e lineari. Il cambiamento è frutto di azione sulla complessità ed implica un uso saggio e positivo del dubbio, dell'incertezza e dell'insicurezza.

Quello che dobbiamo fornire è allora la capacità di leggere, anticipare, determinare e gestire il proprio futuro.

Dobbiamo dare strumenti e metodi, aprendo molteplici approcci ed opzioni di soluzione dei problemi. La scelta del percorso da fare e la sua progettazione sono proprietà del nostro cliente e non nostra.

In questo sta un rafforzamento del potere della persona e della comunità sociale. Altrimenti rafforziamo solo il nostro ruolo. Paradossalmente la nostra qualità si esprime nella misura in cui i nostri clienti dimostrano di poter gestire il proprio percorso senza avere più bisogno di noi; e cambiando; più cambiano senza ricorrere a noi, più aumenta la loro capacità di gestione.

In altri termini, la nostra saggezza implica il coinvolgimento della persona nei servizi che gli offriamo, facendo in modo che lei sia dentro ai nostri servizi e si appropri delle nostre tecniche di "mestiere" per discutere con noi e con gli altri su dove andare e come procedere.

  1. Chi sono gli interlocutori (stakeholders) dei servizi per l'impiego

Quanto ho detto finora apre una questione delicata: chi sono gli stakeholders. Gli stakeholders sono coloro che sono interessati al processo, gli interlocutori del processo. Applicando il concetto di prosumerismo, si tratta dell'insieme di beneficiari e fornitori dei servizi per l'impiego.

E' evidente (ed in ambito OCSE vengono definiti così) che esistono vecchi e nuovi (o emergenti) attori. I vecchi attori sono in genere ritenuti essere i sindacati dei lavoratori e degli imprenditori, le autorità locali, le aziende, i lavoratori. In genere, esistono varie modalità di loro coinvolgimento nella gestione del mercato del lavoro.

I nuovi attori ci sono sempre stati, ma hanno trovato legittimazione più recentemente. Si tratta di comunità locali, degli stessi servizi per l’impiego, di operatori, professionisti, agenzie di sviluppo (in qualsiasi modo siano fatte), gruppi, associazioni.

Ma, attenzione, basilari stakeholders sono le generazioni future, l’ambiente naturale, le specie non umane, perché loro non possono parlare ma subiscono la qualità e l’intervento dei servizi per l’impiego.

Infatti, le scelte che noi facciamo oggi, in politica del lavoro, in politica di sviluppo locale ricadono su di loro, su coloro che non hanno voce in capitolo.

Allora dobbiamo riflettere sul modo i cui questi stakeholders possono essere presenti. Sapete cosa sta avvenendo? Per un lungo periodo, nella gestione dei servizi per l’impiego, c’è stata la logica del tripartitismo, inteso come combinazione dei soggetti pubblici e dei rappresentati della domanda (imprenditori) e dell'offerta di lavoro (lavoratori). La legge regionale è ancora impostata sulla logica del tripartitismo.

In ambito OCSE molte esperienze portano invece al superamento del tripartitismo, aprendo agli altri rappresentanti sociali, perché non è vero che soltanto questi tre soggetti siano in grado di rappresentare l’intera società ed, ancor più, una società in evoluzione, il futuro della società.

Dobbiamo quindi dare diritto di rappresentanza al nuovo, per discutere dei problemi del mercato del lavoro, non contando solo i morti ed i feriti del passato, ma pensando a quelli che le nostre scelte odierne potranno determinare nel futuro. Occorre quindi ampliare il tavolo della rappresentanza, aggiungere sempre un posto in più nelle sedi delle decisioni, avendo il coraggio di immaginare il futuro che vogliamo creare, e pensandolo come un prestito fatto a noi dalle generazioni e dagli esseri che non possono parlare ma solo subire le nostre scelte. Vedremo tra un attimo di cosa si tratta e di come è possibile ragionare in modo più strategico di quello fatto finora.

  1. Cosa significa rete integrata

E' dalla suddetta riflessione che nascono nuovi orientamenti per il networking dei servizi per l'impiego. Una rete può essere composta da cavi e computers, ma la sua vita, la sua efficacia e la sua efficienza dipende da uomini, donne, comunità. La rete è integrata se agisce sulla complessità sociale che esiste tra varie località, tra varie dimensioni; cioè se è frutto di governo e di emersione, di trasparenza delle reti sociali, delle reti degli attori sociali, delle reti degli agenti di sviluppo, etc.

 Una soluzione strategica è quella di aumentare l'accesso ai servizi per l'impiego. Si tratta di "dematerializzare" i servizi per aumentare il grado di libertà di usufruizione interattiva. Servizi non stop che siano a disposizione dei clienti non nella misura in cui vanno da uno sportello all'altro ma nella misura in cui navigano da un sito all'altro. Diamo alle nostre famiglie un computer e un abbonamento Internet ed aiutiamoli ad entrare in rete. Non costruiamo la rete unica che crediamo essere la sola che possa agire nel loro interesse. Diamo nuovamente potere di scelta. Il problema vero è infatti non la tenuta delle nostre reti informatiche ma la tenuta delle reti per le quali quelle informatiche devono essere un mezzo e non un fine. Mi riferisco alle reti degli attori locali, alle reti informali che attualmente esistono, alle reti degli agenti di sviluppo e così via.

Da qualsiasi parte si voglia partire, si deve però essere coscienti di cosa deve fare una rete.

Deve essere uno strumento di capitalizzazione delle risorse, incremento della conoscenza, rafforzamento della potenzialità locale (empowerment).

Questo avviene tramite un continuo flusso di informazioni, esperienze, buone pratiche, ossia tramite la piena manifestazione di quello che è il ruolo degli agenti di sviluppo locale e di cambiamento.

  1. Quali effetti deve produrre la rete integrata

Da ogni componente della rete si devono produrre effetti di

Nessuna componente (organizzazione) deve imporre all’altra cosa e come fare, ma deve dare un buon esempio secondo il principio "faccio agli altri quello che vorrei gli altri facessero per me" (creazione di opportunità)

Esistono almeno quattro tipi di rete:

La rete acquista la sua massima potenzialità quando segue i criteri dell'ultima tipologia.

Infatti, nessuno può obbligare l'altro di stare in rete. Le reti funzionano se sono libere. La rete funziona se è aperta, se non ha censure, se non ha filtri. Deve essere flessibile e facilitare attività di self help, mutual help, selfservice e selfgovernance.

  1. Su quali comportamenti deve agire la rete

A che serve allora il mettersi in rete?

Forse la basilare ragion d'essere della rete è che essa agevola lo scambio e la trasferibilità di buone pratiche e lezioni.

Ci sono però quattro comportamenti che generalmente sono contemporanei, cioè si mescolano nello stesso tempo.

E' quanto emerge nello scambio di esperienze, negli incontri, nei gemellaggi e così via:

Pensate a quante volte si ritiene che certe sperimentazioni siano bellissime se fatte in altri luoghi ma non possano essere praticate da noi perché …. (le motivazioni sono in genere innumerevoli!).

Oppure quante azioni vengono scartate perché ritenute difficili. Oppure, ed ancora, a quanti approcci non si guarda perché si ritiene che noi li usiamo di già o impieghiamo metodi migliori o più adatti alla nostra realtà.

Allora una delle basi fondamentali dei servizi per l’impiego è quella di facilitare il processo di conoscenza, lo scambio di esperienze, lo scambio di buone pratiche. Si tratta cioè di aprirsi e facilitare l’apertura verso nuove soluzioni.

E, come ho già detto, non esiste "one best way", cioè un'unica e migliore soluzione, bensì una varietà di strategie e modi di azione basata sulla comprensione delle circostanze, dei contesti e dei bisogni dell’individuo. I fattori di contesto, interpersonali ed individuali sono di estrema importanza. Su di essi si imperniano i risultati di un'azione. Sono necessari: coordinamento, armonizzazione e coerenza; indispensabili per gestire la complessità in modo multisettoriale, mobilitando e aumentando la responsabilizzazione e l’autonomia degli attori basata sull’uso sostenibile delle risorse locali (territorializzazione delle politiche nazionali, regionali e locali).

Noi dobbiamo lavorare su questo. Noi abbiamo gli ingredienti, dobbiamo essere i cuochi che li utilizzano in modo creativo. Non dobbiamo cercare e perseguire un unico modello, anche perché questo non esiste. Dobbiamo sperimentare continuamente.

Il punto centrale torna ad essere nuovamente che i servizi per l’impiego devono essere agganciati alle politiche dello sviluppo. E' lì che trovano una ragione d’essere, poiché un servizio è efficiente nella misura in cui concorre allo sviluppo.

Ci chiediamo continuamente perché è così difficile incrociare domanda e offerta di lavoro. Il problema non è solo di strumentazione tecnica, ma di prospettive di sviluppo locale.

Occorre discutere quindi della visione dello sviluppo in una data realtà sociale e del livello di condivisione di tale sviluppo da parte degli attori.

Dove vuole andare la comunità locale? In che cosa vuole investire nel futuro?

Vuole investire ancora in modalità ed approcci di sviluppo ormai superati oppure vuole andare verso uno sviluppo sostenibile, diversificato, durevole, utilizzando in modo saggio le risorse disponibili in modo tale da dare alle future generazioni pari opportunità per determinare le proprie prospettive?

  1. Quali sono le condizioni base che rendono sostenibile una rete

Il networking dei servizi locali per l’impiego è sostenibile se alimenta:

Diversità, sussidiarietà, partnership e networking, partecipazione; sono tutte componenti che pongono un problema fondamentale: bisogna discutere su chi sono e saranno gli esclusi dal servizio, non su chi sono e saranno gli inclusi.

Chi vogliamo escludere? Chi buttiamo giù dalla torre?

Questo implica assumersi piena responsabilità e accrescere la consapevolezza del rischio, adottando il principio precauzionario, secondo il quale nulla è illimitato ed anche le nostre aspettative possono essere non eque.

Infatti, dal punto di vista dell’equità, i servizi per l’impiego sono sostenibili se perseguono quella sociale (riguardante la comunità sociale e le sue componenti), quella interlocale (riguardante più comunità sociali e realtà territoriali) e quella intertemporale (relativa alle presenti ed alle future generazioni).

Sono ad esempio noti i cosiddetti effetti di creaming e spiazzamento. Essi agiscono almeno a tre livelli o fasce. Li esprimo ovviamente in modo molto schematico.

La fascia della cream (crema), riguarda coloro che hanno bisogno di piccoli orientamenti; sono attivi; un lavoro lo troverebbero comunque; hanno bisogno di pochi rinforzi; possiedono già buoni strumenti. Si tratta di una fascia che può e sa utilizzare il selfservice. Sono questi i servizi meglio finalizzati a loro: facilissimo accesso ed interattività anche su lunghe distanze (la rete appunto, possibilmente via Internet e disponibile in un numero consistente di luoghi, non solo dei servizi per l'impiego).

Un’altra fascia è quella di chi ha bisogno di orientamenti più sostanziosi per aprire opzioni prima mai pensate, per convertire percorsi, combinare diverse abilità ed esperienze. A questa azione deve seguire quella di interventi formativi mirati.

Quindi si è di fronte ad un buon potenziale di capitale umano soggettivo e, tramite aggiustamenti di percorso ed arricchimenti aggiuntivi, esso può determinare nuovi percorsi. Generalmente, anche questa fascia si presenta ai servizi per l'impiego, ma non con una cultura del selfservice; non ha ancora questa abilità, necessità il contatto ed il servizio personalizzati; ha bisogno però di servizi combinati, non può andare da una sede all'altra a cercare notizie, consulenze, colloqui, etc.. Essa richiede un servizio attivo ed integrato, fatto di operatori e di strumenti multidisciplinari (la rete appunto, centrata sui servizi per l'impiego).

Poi c’è la fascia con un basso tasso di employability. Essa richiede il maggior investimento in termini di servizi per l'impiego. Si tratta di una fascia verso la quale occorre andare, non basta aspettarla dietro al bancone o seduti al tavolo dell'operatore dei servizi per l'impiego, né tantomeno ai nodi della rete informatica che connette numerose banche dati ed informazioni. La rete allora si inverte, va verso il potenziale cliente, per avere primi contatti che possano animare il successivo percorso fatto di azioni combinate. La rete è l'operatore che esce dai servizi per l'impiego e ci rientra, diventa bicicletta, computer portatile, telefono mobile. Ma sempre e soprattutto, l'operatore, in virtù del suo essere consapevolmente un vero e proprio agente locale di sviluppo, è un animatore, un agente di cambiamento.

Dobbiamo quindi sempre porci tre domande:

Se le risposte sono affermative, occorre agire subito a favore delle fasce che rischiamo di spiazzare, prevenendo tale rischio con adeguate azioni che assicurino pari opportunità sociali, interlocali ed intertemporali.

  1. Quali comportamenti organizzativi devono essere quotidianamente alimentati in una rete

L'obiettivo è allora quello di dare eque opportunità sapendo che i servizi per l’impiego devono migliorare progressivamente e quotidianamente.

E' utile l'uso sincronico di sei leve. Queste sei leve non sono solo applicabili ai servizi per l’impiego, ma, per fortuna, in moltissimi altri casi. Le avevamo cominciate a considerare durante il progetto "Laboratorio" per le azioni progettuali innovative, circa due anni fa, se ricordo bene. Le abbiamo discusse in vari seminari locali, che avrebbero dovuto diventare "forums" permanenti per lo scambio delle buone pratiche e dell'innovazione di contenuti e metodi.

Si tratta di leve, intese come comportamenti quotidiani orientati:

Io vorrei da qui lanciare una sfida a me stesso: cosa siamo tra tre anni?

E dico provocatoriamente "cosa siamo" non " cosa saremo". Questa domanda va posta localmente prima di tutto, perché implica la capacità di prefigurare il nostro futuro.

Una rete è di per sé uno strumento che vogliamo per integrare i servizi e politiche, ed i primi con le seconde. Allora la rete va sostenuta con:

Forums e workshops costituiscono l'ambiente nel quale le reti diventano fluide, utili e realmente interattive. In conclusione, si tratta di concepire un insieme coerente di attrezzi, luoghi e macchine, sapientemente organizzati e diretti dall'interazione tra operatore (agente di sviluppo e non burocrate dell'impiego) e cliente (diversità di soggetti). La prosumerizzazione dei servizi, la mescolanza degli approcci, la multi-disciplinarietà, la partecipazione di tutti i possibili stakeholders, senza gerarchie ed esclusioni preconcette, tutte queste sono componenti di un processo democratico di negoziazione e concertazione teso a creare gli scenari futuri. Tra più scenari, occorre determinarne uno che sia realmente condiviso dagli attori e dalle comunità locali. Ed una volta scelto, individuare il percorso per raggiungerlo. Occorre quindi prima immaginare il futuro, per poi tornare all'oggi, e non viceversa, altrimenti non riusciremo mai a cambiare la nostra mentalità, le nostre teorie, i nostri stili di vita, i nostri tradizionali modelli di sviluppo. E questi ultimi sono quelli oggi in discussione, in quanto non più sostenibili. Come facciamo noi a sapere quali sono le skills necessarie per il futuro, se non sappiamo quale futuro vogliamo creare, o se non siamo d'accordo sulle scelte fatte?

Dobbiamo quindi mettere insieme le nostre capacità di progettare il futuro; è ciò che dà la forza, la vita, la linfa per andare avanti anche ai servizi per l’impiego. Altrimenti continueremo a "cementificare" vecchi stili comportamentali, modi di fare e pensare; i servizi si auto-riproduranno ma non costituiranno punti di riferimento realmente incisivi ed innovatori. E l'occasione odierna del grande cambiamento istituzionale, politico, amministrativo e sociale, al quale ho fatto riferimento in apertura, sarà sprecata.